Il cambiamento climatico è una di quelle problematiche sociali che pur essendo ignorata dai più continua inesorabile la sua corsa verso la concretizzazione di se stessa. 

La passività con cui gli esseri umani (non) guardano a questo problema diventa sconcertante se si pensa che ogni persona è artefice del problema ma allo stesso tempo può mobilitarsi alla sua (seppur parziale) risoluzione. Ed è a questo punto che si può parlare di attivismo ambientale che unito al potere evocativo e d’ispirazione che l’arte esercita sulle persone risulta essere uno degli espedienti più efficaci per contrastare l’inarrestabile “climate change”. L’arte è un modo unificante e universale per comunicare emozioni o pensieri. Quando si parla di attivismo ambientale, l’arte non si riduce a mero strumento supplementare, piuttosto diventa una parte necessaria e vitale del lavoro verso la “giustizia ambientale”. Nel campus di Davidson in North Carolina, si può trovare un lavoro artistico in corso come mezzo per far luce sul cambiamento climatico e l’attivismo ambientale. Attraverso la narrazione visiva, infatti, questi progetti avvicinano studenti e membri della comunità per permettere loro di condividere il problema e le proprie conoscenze relative alla risoluzione così da passare successivamente all’azione attraverso un vero e proprio lavoro di “giustizia ambientale”. 

Secondo la comunità di Davidson, la non azione verso la risoluzione del problema non fa altro che danneggiare i cosiddetti BIPOC - “Black, Indigenous, and People Of Color” - e altri gruppi emarginati nella nostra città e nell’area più ampia, considerati l’ultimo esempio di “esistenza umana allo stato puro”, fondamentali per l’equilibrio dell’intero ecosistema.